NO MORE FOUND OBJECTS -- in Italian

ZM

I got a lovely email at the beginning of April, from Romeo Belotti (a student from the Brera Fine Arts Academy in Milan). He said he was writing his dissertation about Art in consumer society and had been hosting debates in his studio about this exact subject. The next debate coming up was about when does the artwork expire? and he’d read my essay, NO MORE FOUND OBJECTS, and translated into Italian for the discussion.

Honestly, as a writer, this is VERY COOL!!!! i am interested in what came out of the conversation, but i am also interested in how the essay translates into another language! SO »> sharing Romeo’s Italian translation of the essay below, but also the notes from the debate, in case that is of interest to anyone too.

If you’re based in Milan, then here’s some info about Romeo’s project itself, you might find it interesting and noteworthy!


NIENTE PIU’ OGGETTI TROVATI

DI ZARINA MUHAMMAD, THE WHITE PUBE

Traduzione Romeo Belotti

ARTICOLO 1: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Una palla da biliardo nera avvitata in una robusta catena da bicicletta argentata, appoggiata su un telone blu Ikea.

ARTICOLO 2: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Un lastrone di marmo delle dimensioni di un piccolo frigorifero con una camicia bianca di lino slim fi t, distesa contro il pavimento, che sbuca da sotto.

ARTICOLO 3: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Biglietti della lotteria sparsi sul pavimento, sotto una lastra di plexiglass. Ci camminiamo sopra.

ARTICOLO 4: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Fazzoletti Kleenex accartocciati e sparsi uno a uno lungo il corridoio stretto e luminoso della galleria.

ARTICOLO 5: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Un raccoglitore con ritagli da una rivista per adolescenti della fi ne degli anni ‘90, primi anni 2000.

ARTICOLO 6: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Un pollo di gomma con un fascio di luci a batteria infilato dentro. Il pacco batteria esce dall’ano ed è appeso al soffitto.

ARTICOLO 7: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Un nastro di pavimento laminato, modellato in un fiocco e montato sulla parete.

ARTICOLO 8: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Monete da uno e due pence in una cartellina di plastica, inchiodata al muro. Piccoli oggetti di plastica (bambole, vestiti, dadi, pezzi del Monopoli, portachiavi, giocattolini) in una cartellina di plastica, inchiodata al muro. Pezzi di carta con frasi contenute nei biscotti della fortuna in una cartellina di plastica, inchiodata al muro. Stuzzicadenti e fiammiferi in una cartellina di plastica, inchiodata al muro. Cucchiaini d’argento, inchiodati al muro. Denti di squalo, inchiodati al muro. Cesto di vimini, inchiodato al muro. Scala di legno, inchiodata al muro. Catalogo di auto Porsche vintage, inchiodato al muro. Tende di rete, inchiodate al muro. Lamette da barba, inchiodate al muro. Buste non aperte, inchiodate al muro. Fossili e ossa, inchiodati al muro.

ARTICOLO 9: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione naturale. Cinque palle di neve in fila su una panca di cemento. Ognuna ha una minuscola carta da gioco inserita al suo interno, sospesa nel liquido.

ARTICOLO 10: Muri bianchi, pavimento in parquet, illuminazione fluorescente intensa. Grappoli d’uva di cera, disposti attorno e sopra ad uno specchio posizionato sul pavimento. Lo specchio sembra avere una forma strana e frastagliata.

ARTICOLO 11: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. La glassa dei biscotti preconfezionati “Iced Gems” disposta sulla punta di un leggio di plastica. Candele T-Light a batteria di plastica disposte in un cerchio attorno a una macchina da caffè Keurig sul pavimento. Una scatola di Amazon appiattita e incorniciata. Un tavolino da caffè con un vero nido di uccelli, al centro del quale c’è una fotografia in bianco e nero (non più grande di un biglietto da visita) di un orecchio.

ARTICOLO 12: Muri bianchi, pavimento in cemento, illuminazione fluorescente intensa. Bottiglie di plastica da cui l’aria è stata aspirata, sigillate con nastro adesivo.

ARTICOLO 13: La settimana scorsa ero a una critica e qualcuno ha detto che non gli piaceva tanto come molta arte (in questo momento) sia fatta con oggetti trovati. Il mio corpo ha reagito fisicamente, stavo quasi per lanciarmi in avanti in segno di assenso. Sì, sì, anche io sento che c’è una gran quantità di oggetti trovati nell’arte in questo momento! Molte immagini trovate! Testi trovati! Non mi piace, mi sembra che io non sappia cosa significhi, cosa dica sulla Cultura, cosa dica sull’umore e la temperatura del mondo dell’arte in generale. Ma poi, alcune invece mi piacciono, alcune mi colpiscono profondamente, altre invece mi irritano! Non so dove sia la linea, mi dà fastidio, prurito. Non so come mi sento riguardo al fatto che ci sia una palese resurrezione di questa tendenza. Ah— sì, questo non mi piace!

ARTICOLO 14: La settimana prima ero in giro per alcune gallerie di Bloomsbury con il gruppo del seminario, per una gita scolastica a tema Condo. Ci siamo trovati alla Brunette Coleman, a guardare [xxx]. Un ammasso di oggetti metallici pressati in un cubo, posato sul pavimento. Un insieme di maniglie di cristallo, ancora attaccate a un piccolo pezzo di legno delle rispettive porte. Disposte in una linea verticale e inserite in un contenitore di plastica montato sulla parete. Nessuno era particolarmente impressionato dall’opera: oggetti strani, abbastanza spogli, non riuscivamo a capire cosa stesse succedendo o perché questi strani oggetti fossero lì, come si relazionavano tra loro — erano familiari eppure resi insoliti. Il gallerista probabilmente ci ha sentito lamentarci tra di noi per la confusione — io probabilmente la più rumorosa di tutti. Ha spinto la testa fuori dall’ufficio e ci ha chiesto se volessimo un’introduzione. Sì, sì, per favore! Beh, il cubo metallico era una raccolta di oggetti pressati insieme fi no a raggiungere le dimensioni e la forma dell’interno dell’armadietto dell’artista nel laboratorio metalmeccanico che usa a New York. Quello spazio, l’interno dell’armadietto, è il limite di dimensione del lavoro che può fare perché il laboratorio è condiviso, può fare solo ciò che riesce a mettere in quell’armadietto. Quindi questa scultura sta cercando di superare i limiti di quella domanda spaziale interna, tipo di Rachel Whiteread al contrario, mini-Rachel Whiteread, che dialoga con lo spazio, l’immobiliare, la proprietà, il capitale, i limiti della capacità dell’artista di produrre quando forse il lavoro e i mezzi di produzione sono controllati da forze esterne, misteriose, non nominate. E le maniglie erano state comprate su eBay — l’artista sfoglia le aste online e pensava fosse curioso che maniglie e serrature fossero in vendita così. Questo è esattamente come erano elencate, come sono state vendute, come sono arrivate — con i piccoli quadrati di legno ancora attaccati. Questo dice qualcosa riguardo al valore, che risiede nel meccanismo della serratura e nella maniglia, piuttosto che nella porta stessa. Immagino che questo possa essere esteso a un commento più ampio — sì, immagino, ma non lo saprei. A quel punto ho smesso di ascoltare perché stavo avendo un pensiero sugli Oggetti Trovati e sul Valore e su dove il Valore si collochi in questa conversazione sugli Oggetti Trovati. Quindi mi sono girata verso il mio gruppo e ho detto che c’era un saggio di Cedric Fauq che avrebbero potuto trovare interessante, sugli oggetti e gli spazi e il significato — glielo avrei inviato!

ARTICOLO 15: Un breve rewind ad aprile 1917. Marcel Duchamp (o forse no? La storia dell’arte non è d’accordo. È molto probabile che Duchamp abbia rubato questa idea da Elsa von Freytag-Loringhoven, un’artista che lavorava con oggetti trovati all’epoca) scattò una foto di una sua nuova opera d’arte: Fountain — un orinatoio in porcellana firmato R. Mutt. Fu pubblicata su una rivista dadaista chiamata The Blind Man. Nacque il ready-made: “un oggetto quotidiano elevato allo status di opera d’arte attraverso l’atto di scelta dell’artista”. E poi, ah, avanguardia, pietra miliare, storia dell’arte, il resto. L’atto della scelta: gli artisti hanno un potere trasformativo, qualsiasi cosa portino in galleria viene trasformata da oggetto reale in oggetto d’arte.

ARTICOLO 16: Nel 2020, Cedric Fauq scrisse un saggio per Mousse Magazine intitolato Transactional Objects Full of Contexts in Voided Sites. Scrive delle pratiche di quattro artisti: Carolyn Lazard, Ima-Abasi Okon, Cameron Rowland e Abbas Zahedi. Collega le loro pratiche, producendo un modello per un concettualismo aggiornato. Questi sono tutti artisti che lavorano con oggetti in un modo che sembra affine al ready-made, ma il loro lavoro è sfuggente, misterioso. C’è qualcosa di opaco, il rifiuto della coerenza o della leggibilità, il rifiuto dei termini di esposizione e scambio, c’è qualcosa che fallisce. Quel rifiuto corto-circuita una transazione, la evidenzia, la indica, la interroga. Non si tratta dell’atto di transazione in sé, ma dell’idea di essa, delle condizioni di essa — il fatto che tutto questo avvenga in un’INSTITUZIONE. Questo è come un colpo di grazia. Perché l’istituzione valuta l’estetica o la vibrazione in cui tutto questo sta funzionando — minimalista, concettuale, riflessiva. Ma la cosa che viene minata, infi ne, è l’istituzione stessa: il valore che assegna, il valore che detiene, la funzione che questo valore svolge. L’istituzione è la cosa che rende l’oggetto ready-made e tutto ciò viene abbandonato, rapidamente. Cedric lo dice in modo più elegante: tutto viene problematizzato via via che vari rifiuti vengono messi in atto. Penso, credo, che questo sia quello di cui parla il saggio. Spazzare via generalizzazioni, ecc.

ARTICOLO 17: L’arte è intrappolata in un paradigma rappresentativo: l’arte è la pratica della creazione di immagini. Non toccata e non macchiata dal calore accecante della Realtà della Vita, l’arte è in grado di prendere qualsiasi cosa (letteralmente qualsiasi cosa), assorbirla, fare ble-ble-ble-ble-ble, e produrla come un’immagine della cosa che era prima. L’immagine non è necessariamente un’immagine-immagine, [“like it doesn’t have to be something that is explicitly a picture,” redatto per chiarezza della traduzione] bidimensionale, permanente, visibile o anche fisicamente esistente. Può essere mentale, volatile, fugace. È in definitiva solo una specie di segno, una proxy, un Altro, una rappresentazione. L’intero processo di creazione artistica: condizionare le cose e gli oggetti in arte, trasformandoli in immagini. L’immagine è tutto, l’unica cosa che viene mai evacuata dall’altro lato di questo processo. L’arte è una pratica di creazione di immagini. Tutto diventa immagine. Il valore, la funzione, l’uso dell’oggetto come oggetto svanisce o diventa parte della sua immagine. Immagine-immagine-immagine.

ARTICOLO 18: Trasformare un oggetto/cosa in immagine, riguarda anche renderla bizzarra? Il processo di fare arte riguarda anche una sorta di estraniamento? Dalla realtà, dall’uso, dalla funzione, dallo scopo, dalla familiarità? Sinceramente, non lo so.

ARTICOLO 19: Vale la pena dire che Fountain fu lo sparo d’inizio per la scena Dada di New York: una cosa nebulosa e dilagante. Anti-arte. Non-senso, rifiuto del senso, l’assurdo, l’irrazionale, rifiuto della certezza, rifiuto della coerenza, rifiuto delle convenzioni borghesi che costituivano le tradizioni formali dell’“arte” (qualunque cosa fosse), rifiuto delle definizioni accettate, rifiuto del paradigma rappresentazionale dell’arte, trasformandola in qualcosa di assurdo, minandola in quella assurdità, usando l’assurdità per mettere in discussione la stessa categoria della cosa che stavano rifiutando. Un’arte che era anche anti-arte, un’arte che dirottava l’arte stessa e la trasformava in una cosa-bastarda, che poteva smontare o attaccare l’originale dall’interno. Un po' come il candidato della Manciuria.

ARTICOLO 20: Ho letto quell’articolo di Cedric Fauq un paio di anni fa ed è un chiodo fisso nella testa da allora. Ogni volta che vedo un oggetto in una galleria, un oggetto trovato, un oggetto che potrebbe essere definito come un readymade, mi viene questa agitazione per un testo. È diventato difficile districarmi tra i punti sollevati nell’articolo originale, e i punti che ho travisato e portato via nella mia immaginazione.

ARTICOLO 21: Gli oggetti possono essere trasformati in gesti e attraverso questi gesti possono parlare! Due o più oggetti possono gesticolare verso l’uno o l’altro, parlare tra loro, sovrapporsi l’uno all’altro. Conversazionale, corale o contraddittorio.

ARTICOLO 22: Mi resta il sospetto che: rifiutare l’atto di creare qualcosa, scegliere letteralmente qualcosa che hai trovato nel mondo, trascinarlo nella galleria, selezionarlo, l’atto della scelta — è sia un rifiuto che un’affermazione del paradigma rappresentazionale dell’arte. È una critica alla galleria (l’aura del fallimento) e una conferma del suo potere trasformazionale (vita reale -> immagine). È ancora anti-arte, è ancora arte concettuale. È un corto circuito? Può qualcosa effettivamente stare tra due categorie? Se lo fa, quella cosa duale è ancora una cosa bastarda, un candidato Manciuriano, attacca ancora dall’interno?

ARTICOLO 23: Muri bianchi, pavimento in cemento, luce fluorescente intensa. Un’insegna di un kebab, ma l’insegna è vuota. È solo una scatola con delle luci e due lastre di plastica trasparente. Al suo posto ci sono sparsi dei fazzoletti bianchi usati.

ARTICOLO 24: Muri bianchi, pavimento in cemento, luce fluorescente intensa. Un mobile in plastica con scaffali sottili. Su ogni scaffale c’è un pacco di tapas precotte ridotto a una massa carbonizzata. Patatina al forno, friggella arricciata (singolare), rotolo di salsiccia, patatina a forma di faccina sorridente. Parlo con la gallerista che dice che le ricorda la maionese — per il modo in cui è sia deliziosa che allo stesso tempo abietta e ripugnante, simultaneamente. Penso a quel saggio di Hannah Black This is Crap, su come l’abiezione stia tornando nella cultura in grande stile. E sì, la maionese è abietta, no?

ARTICOLO 25: Muri bianchi, pavimento grigio con passatoia, enorme tenda bianca di Frieze. Una cabina è piena di pinguini gonfi abili. Si muovono con la brezza mentre le persone passano.

ARTICOLO 26: Muri bianchi, pavimento in cemento, luce fluorescente intensa. Un enorme motore è tagliato con precisione in delicate “fette”, come un polpettone. Ci viene presentato su un tavolo di metallo. Guardo attraverso le fessure.

ARTICOLO 27: Muri bianchi, pavimento in cemento, luce fluorescente intensa. Una placca d’argento sulla parete con un font nero arrotondato. La scritta recita: “L’affitto a breve termine, per un periodo di 6 mesi o meno, è severamente vietato a St John’s Court in conformità con i termini stabiliti nel contratto di locazione. Ciò include affitti in stile Airbnb.”

ARTICOLO 28: Nel 2009, e-flux pubblicò un saggio di Hito Steyerl intitolato In Defence of the Poor Image [In difesa dell’immagine povera]. L’Immagine Povera è una copia a bassa risoluzione, granulosa. Il Sottoproletariato nella società classista delle apparenze. L’Immagine Povera è stata strappata, compressa fi no alla risoluzione più bassa e pixelata, scambiando chiarezza e definizione per velocità e visibilità. La sua mancanza di risoluzione indica il suo status di copia (di un bootleg, di un falso) — l’originale è nitido, chiaro, ricco ed esclusivo. Ma tutto questo si basa su una strana divisione di classe dell’immagine (ricca/povera) o sulla privatizzazione dell’immagine (l’originale / il falso). L’Immagine Povera è l’immagine popolare, creata e vista da molti, passando attraverso molte mani — circolando. Nel 2009, immagino che ci sia stata una svolta culturale. Il feticismo dell’alta definizione è stato sostituito in favore di velocità, scambio, diffusione — sembra quasi banale ora, perché i meme sono ormai vecchi, la viralità è banale, ma era proprio così. L’Immagine Povera aveva valore perché circolava e costruiva una rete attraverso la sua storia condivisa.

ARTICOLO 29: Ho parlato con qualcuno di questa rinascita degli oggetti trovati, solo per verificare che non stessi perdendo il fi lo, vedendo schemi e segni dove non c’erano. Hanno annuito saggiamente, dicendo “the vibeshift, yes of course.”

ARTICOLO 30: Non voglio sembrare banale o stupida, ma il termine “readymade” significa anche immagine trovata, non solo oggetto trovato. E questo è interessante. Non so quando sia successo, ma vedo più immagini che oggetti. L’oggetto dà l’impressione di essere l’originale, l’immagine dà l’impressione di essere una copia. È solo un sintomo delle strategie di marketing subliminali? È questo l’unico effetto duraturo del discorso post-digitale, dell’arte dopo il fenomeno di internet? La rarità e l’aura dell’oggetto? È questa l’ontologia orientata all’oggetto?

ARTICOLO 31: Tra il 1980 e il 1992, Richard Prince ha prodotto una serie chiamata Untitled Cowboys. Era un aspirante pittore, che lavorava nel mondo della pubblicità per Time Magazine. Iniziò a fotografare nuovamente i cowboy nelle pubblicità sigarette Marlboro, ritagliandoli e sfocandoli in modo tale di farli sembrare immagini provenienti da sogni febbrili. Una copia (l’opera d’arte) di una copia (la pubblicità) di un mito (il cowboy), i cowboy di Prince sono allucinazioni perché le pubblicità sono allucinazioni, i simboli sono allucinazioni, i desideri sociali sono allucinazioni. Sono anche anti-arte readymade, un furto esilarante dal mondo banale della pubblicità, elevato e incorniciato come Arte Alta. Superficiale reso sofisticato. Sezionando l’Immagine trovata: la rarità dell’arte/ la sua santità/ la sua esclusività/ la separazione dell’arte dal mondo dell’immagine pubblicitaria/ dell’icona americana/del mito nazionale/dell’eroe/del simbolo.

ARTICOLO 32: Andy Warhol.

ARTICOLO 33: Alla fine del 2023, in un’intervista per 032c, un’artista chiamata Ana Viktoria Dzinic ha parlato del cambiamento di vibeshift digitale. Le immagini acquisiscono significato quando entrano in una rete di altre immagini. Siamo in una specie di spazio liminale tra Web 2.0 e Web 3.0. Bloccati tra una versione di internet dove tutti interagiscono sui social network e una versione di internet completamente decentralizzata (blockchain, crypto). Internet decentralizzato ha in gran parte fallito o non è riuscito a radicarsi, ma Twitter e Instagram (ora X e Meta) stanno effettivamente morendo culturalmente, il terreno sta dissolvendosi sotto di noi e non sappiamo dove saltare. Siamo intrappolati in questo barzakh digitale di Web 2.5, dove le immagini vengono fatte e immediatamente perdono di significano. Ana Viktoria Dzinic parla dell’idea che il lo-fi è morto perché i grandi marchi l’hanno ascritto, l’Immagine Povera ha smesso di essere una critica del capitale. Ma poi non è stato necessariamente soppiantato dall’Immagine Ricca in un cambio equo, è più come se si fossero fusi e il valore si trovasse nell’oscillazione fluida tra alto e basso in modo discordante e contraddittorio. L’esempio più pulito è nella moda: indossi una borsa Gucci falsa, una maglia Brandy Melville, pantaloni Ottolinger, un pezzo vintage, e tutti sanno che ne capisci. Sta parlando di anti-moda, un modo di vestirsi che sminuisce o rifiuta le definizioni accettate del valore e delle tendenze. O forse anti-stile? Qualcosa di un po’ più consapevole, un’oscillazione fluida. È il collage di tutti questi elementi che è cruciale. La conversazione si muove e rimbalza come fanno spesso le interviste, ma questi punti sulla moda sono acuti, profetici: il creatore di immagini del futuro probabilmente sarà la persona che ha il gusto più ricercato e che ha sempre ragione.

ARTICOLO 34: Mi sento sciocca a chiederlo, ma voglio una risposta, quindi penso valga la pena domandare: chi cerca questo gusto? Cioè, molto ricercato, ma da chi? Tutto questo riguarda solo la visibilità nella timeline, le richieste di interazione degli altri utenti nell’app, la viralità generale, l’ accordo reciproco che questo è buon gusto, l’essere un trendsetter all’avanguardia, o questa ricercatezza riguarda il business freelance creativo? Con chi vogliono lavorare i marchi, chi vogliono assumere per un ruolo di direzione creativa? Allineamento strategico? Sponcon? Gifting? Vieni alla nostra festa della settimana della moda? Cammini sulla nostra passerella? E se quello è il creatore di immagini del futuro, che tipo di immagine sta creando quella persona? Sta creando IMMAGINI-immagini? Foto, bidimensionali, permanenti, visibili, fisicamente esistenti? O sta creando segni, proxy, Altro, rappresentazioni — condizionando le cose in immagine d’arte?

ARTICOLO 35: La rivista Plaster ha aperto un negozio pop-up nel quartiere di Soho, vendendo oggetti realizzati da artisti, posacenere, gioielli, cappelli, nuovi merchandise di Plaster, tutti curati dal team di Plaster. Mi sono fermata a dare un’occhiata mentre tornavo a casa dal lavoro. C’erano tre scaffali e due appendini, merchandise di Plaster e ciotole di ceramica, orecchini su un supporto per gioielli (£300). Ma sparsi per il negozio c’erano tutti questi libri adiacenti all’arte: Nightbitch di Rachel Yoder, una raccolta di interviste con gli amici di Martin Kippenberger (una monografia per il Re degli Artisti Strani), un libro di Andreas Gursky di grandi dimensioni. Erano semplicemente messi in mezzo tra tazze e accendini. Mi ha colpito come una cosa strana. Sembrava una cosa strana. Non avrebbe dovuto sembrare strano, quindi anche la stranezza sembrava strana. L’ho descritta a un’amica e ha detto “oh, libri sexy?” Sì — libri che sono lì per accessoriare e rendere tutto un po' più sexy. Ho rovistato e navigato in centinaia di negozi che usano libri sexy, oggetti sexy. Per rendere distinguibile un negozio di abbigliamento maschile rispetto al panorama più ampio di negozi maschili identici. Per rinforzare che SI! QUESTO negozio vende BENI PER LA CASA e così è come starebbero nel tuo salotto! NELLA TUA CASA! Boyfriend couches da Topshop, la platea originale. Bruciatori di incenso. Skateboard. Casse di fieno. Zines sui tavolini nei camerini di Urban Outfitters. Siamo una specie visiva, le pubblicità hanno sempre riguardato la comunicazione di desideri subliminali. Libri sexy, oggetti sexy — puoi curare gli oggetti per comunicare cose a un potenziale acquirente. Questo potrebbe sembrare una collezione di candele a spirale e magliette Gildan, ma questo è un negozio che vende cose collegate al mondo dell’arte.

ARTICOLO 35: Ti ricordi quando Instagram era pieno di gente che pubblicava foto di libri e cappuccini sui tavoli in legno di recupero dei coffee shop? Si, si un flatlay. E’ un lavoro ora, è un impiego remunerato: contenuti generati dagli utenti.

ARTICOLO 36: Torniamo alla Fontana di Duchamp — il readymade viene elevato allo status di arte dall’atto di scelta dell’artista. Dove sta la linea tra l’atto di scelta dell’artista e la selezione e disposizione curatoriale?

ARTICOLO 37: L’algoritmo sa che sono una donna di età compresa tra i 25 e i 30 anni che vive a Londra, una donna che chiama ancora sé stessa ragazza, nonostante non ci sia alcuna prova materiale che ciò sia vero. Mi vengono mostrate molte cose che si allineano a questa comprensione di me stessa. Un account chiamato GIRLS WHO CLUSTER: scatti estetici di disordine selezionato e disposto intenzionalmente. Pettini in tartaruga, mentine in scatole di metallo, specchietti vintage, crema per le mani in tubetti di metallo con etichette dall’aspetto europeo-continentale, perline del rosario, mollette per capelli, piattini d’argento, strisce di foto, dentifricio Marvis, bagnoschiuma liquido da farmacia francese, candele Diptyque, nastri, profumi, orecchini in conchiglie. Di tanto in tanto questo account pubblica una Guida ai Regali Cluster Preferiti con raccomandazioni di prodotti che potrebbero facilmente trovarsi in uno di questi scatti. Ogni cosa è linkata e acquistabile.

ARTICOLO 38: Tutto riguarda sempre la persona con il gusto più ricercato, quella che ha sempre ragione. Tutto ha sempre a che fare con il posizionamento, la composizione. Moda, pubblicità, testi di marketing, contenuti, comunicazioni, PR. Se oggetti e immagini hanno una risonanza è perché le agenzie pubblicitarie hanno battuto le mani e detto PARLA! Se parlano, non dicono altro che il desiderio banale dei consumatori. È qui che si trova tutto questo: da qualche parte tra posizionamento e desiderio.

ARTICOLO 39: Una sera di questa settimana ho portato il mio lavoro a casa. Ho spiegato al mio ragazzo cosa stavo scrivendo, gli ho detto che scrivere questo testo sembrava camminare nella sabbia, cercando di raccogliere la sabbia con le mani e afferrarla. Gli ho parlato di Fountain, oggetti transazionali, il vibeshift, l’anti-arte. Questa povera creatura. Mi ha detto che la maggior parte delle persone non pensa che questo tipo di arte sia davvero arte. La maggior parte delle persone pensa che l’arte sia un dipinto, una scultura, l’arte è quella cosa che riconosci quando la vedi. Queste sono cose fatte in cerchie di nicchia per persone di nicchia che si auto-celebrano su quanto siano intelligenti, su quanto ne capiscano, un loop chiuso, guardarsi l’ombelico, se-lo- sai-lo-sai e loro lo sanno, ma chi se ne frega? Ma che dire dell’atto artistico di selezione!? Scuoteva la testa. Gli ho chiesto se pensasse che l’imperatore indossasse dei vestiti. Ha detto niente affatto, nemmeno un filo.

ARTICOLO 40: Sto vivendo una grande tensione mentale! Credo nel potere dell’anti- arte. Penso che la pubblicità dovrebbe essere illegale. Penso che il buon gusto sia una sorta di fascismo estetico. Vedo mille immagini al giorno e non ricordo nessuna di esse. Voglio che tutti gli oggetti scompaiano. Riesco a pensare a tante pratiche artistiche che usano oggetti trovati in arrangiamenti a costellazione, proprio in questo modo che sto descrivendo, che mi piacciono profondamente, spiritualmente. Ma penso anche che ci sia qualcosa qui sul tavolo, in mezzo a tutte queste cose, che stride.

ARTICOLO 41: È questo un sintomo delle condizioni materiali che gli artisti affrontano nel mondo reale? Non possono permettersi uno studio per lavorare. Non hanno il tempo per fare davvero qualcosa. Le pratiche diventano sempre più piccole fi no a che l’assemblage diventa un modo per dire che la creazione artistica avviene tramite proxy, in teoria, concetto e gesto.

ARTICOLO 42: È tutta colpa di INSTAGRAM? O è TIKTOK che sta rovinando LA SOCIETÀ? Siamo tutti creatori di immagini, siamo tutti curatori. Curiamo il nostro feed, la nostra vita, la nostra esistenza; quindi, l’assemblaggio è il linguaggio visivo in cui siamo più fluenti.

ARTICOLO 43: È per colpa di TUMBLR, in realtà? La goccia estetica, i microtrend, le previsioni di Pinterest — il modo in cui la vaporwave è entrata nel sistema? All’epoca eravamo tutti affascinati dalle sostanze piuttosto che dagli oggetti. Gelatina, lubrificanti, acqua, gel, superfici metalliche e marmo — perché il cyberspazio era così insostanziale, così privo di sostanze. Eravamo tutti spaventati o eccitati che il corpo venisse “spirato” dalla macchina. Gli oggetti scomparvero e smettemmo di pensare alle immagini come copie o rappresentazioni, sviluppando un registro meta-immagine in cui si trattava di reti di immagini. Così: l’Immagine Povera divenne l’Immagine, poi il divario tra originale e copia scomparve, le immagini non esistevano più come singolari, ma come plurali, all’interno di reti, estetiche, discreti gruppi codificati che formavano una sorta di linguaggio dell’immagine. Il processo di modellare le IMMAGINI-immagini in immagini si contrasse, le tendenze si contrassero, tutto divenne micro. Sì, sembra colpa di Tumblr, vero? Morte dell’estetica, ciclo delle immagini, registro meta- immagine, incensarsi a vicenda.

ARTICOLO 44: È tutto questo una questione di HAUNTOLOGIA? Il futuro è morto, il capitalismo l’ha ucciso, quindi ricicliamo la cultura prodotta dal passato. Mastichiamo il vecchio cibo lasciato nel piatto, lo sputiamo fuori in una nuova forma. Ancora e ancora, vecchi broccoli, vecchio riso, vecchio pollo. Mettili su un piatto, arrangiamento a costellazione. Guarda la mia installazione con cena trovata! Un capolavoro! Readymade-cibo precotto e commento sociale. Altamente critico.

ARTICOLO 45: Il Dada e l’anti-arte parlavano di un’arte che faceva crollare la categoria stessa dell’arte dall’interno. Sabotare la forma, cosa bastarda, candidato manciuriano. Rifiutava o negava l’arte, poneva la domanda se essa esistesse davvero, se fosse separata dalla vita reale fi n dall’inizio. Lo faceva da dentro il mondo dell’arte. Questo non era un fallimento, questa era la strategia. Un détournement, un reindirizzamento, un dirottamento. Prendere il volante e fare inversione. Lontano dalle convenzioni borghesi, dalle tradizioni formali, dagli standard categorici. Ma la cosa non crolla dall’interno, non succede mai! Esplode, espandendo le proprietà e il potenziale dell’arte, in un nuovo medium concettuale. L’arte era ora una cosa nominale piuttosto che intrinseca. Ora un medium distinto poteva essere regolato, classificato, gli poteva essere assegnato un proprio insieme di convenzioni, tradizioni formali e standard.

ARTICOLO 46: Mi sembra che tutti proclamino sempre la fine di qualcosa. La fine della pittura! La fi ne dell’arte! La fine di questo testo! (Posso solo sperarlo). La fi ne è sempre una svolta. Un reindirizzamento. Niente muore mai! Si sposta solo in una direzione diversa. Andrà solo lontano e poi qualcuno proclamerà la fi ne, e tornerà di nuovo. Normalmente il segnale che la fi ne è vicina è quando la pubblicità ci si butta sopra per fare montagne di soldi. Quando ha abbastanza cache culturale da diventare di interesse per le corporation, che la vedono come un mezzo valido per arricchirsi. Libri sexy, oggetti trovati, negozi di abbigliamento maschile indistinguibili con piante, libri e giradischi nascosti tra gli scaffali — LA FINE È VICINA!!!! È stato bello finché è durato, ragazzi — abbiamo fatto un bel viaggio, ma è ora di fare inversione, subito.

ARTICOLO 47: Mi chiedo cosa verrà dopo? Ti dirò cosa mi piacerebbe vedere. Far scomparire completamente l’oggetto, fare opere d’arte in gesti, azioni, mistero, sfide. Come Sarah Boulton che inghiotte una perla. Come Lydia Ourahmane che si fa togliere un dente, e ne fa impiantare uno in oro 24 carati. Cameron Rowland che ipoteca le porte dell’ICA. Il silenzio di John Cage. I quadrati suprematisti neri. L’affetto collettivo, happenings, i fenomeni strani e inspiegabili. Forse qualcuno potrebbe indicare la distruzione come unica forma di produzione emancipata. Bruciare l’edificio Blavatnik, la White Cube, il Parlamento — come performance art, ovviamente. Sono interessata a cose che non esistono o non dovrebbero esistere. Cose al limite. Mentire, distruggere, il vuoto! Niente più oscillazioni fluide. Mandate il candidato manciuriano. È tempo della fine.

(((( thank you again to Romeo Belotti for this translation!!!!))))